Biografia

Marco Perazzolli 1970
Marco Perazzolli nel 1970

Marco Perazzolli nasce nel 1934 a Bosentino, paese dell’Altopiano della Vigolana, poco a sud di Trento. 

L’amore per la natura e per la sua rappresentazione lo indirizza verso lo studio artistico che compie a Venezia, città del colorismo, dove frequenta il liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti, diplomandosi nel 1956 sotto la guida di Bruno Saetti. L’anno successivo inizia l’attività di docente. Per due anni insegna a Cles, capoluogo della Val di Non, per poi ricevere l’incarico di preside delle scuole medie unificate di Malè, in Val di Sole, fino al 1965. Nel 1967, dopo un anno alle scuole di Taio, rientra definitivamente a Cles, borgata nella quale trasferisce la propria residenza e alla quale rimarrà legato per tutta la vita. 

Nel 1962 Marco Perazzolli si sposa con Teresa Ossanna, anch’essa insegnante, conosciuta a Cles nel 1958. Nello stesso anno Perazzolli inizia a dipingere i primi quadri prediligendo il tema della figura umana; di fatto la propria ricerca è da subito indirizzata verso l’umano, verso un’analisi dell’intimo, di ciò che è interiore ed esistenziale. Questa ricerca filosofica è accompagnata dall’amore per la lettura ed in particolare per la poesia; Perazzolli passa buona parte del suo tempo tra le liriche ed i romanzi di Boris Pasternak oppure tra gli scritti esistenzialisti di Alberto Moravia.

La continua sperimentazione, il desiderio di conoscenza ed una propria visione disposta all’innovazione del linguaggio ed al rinnovamento dei propri medium artistici, lo convince a recarsi nel 1966 a Salisburgo, città ove si perfeziona frequentando la “Schüle des Sehens” del grande artista austriaco Oscar Kokoschka. Qui dipinge persone e vedute ‘accademiche’ della città, ma anche una interessante serie di nudi, dove la propria volontà di sperimentazione e ricerca è palese nell’uso di una tecnica mista, dove il collage è associato all’utilizzo di pigmenti acrilici impastati con sabbie. Già da questi lavori risulta chiaro come sia fondante la materia, come l’opera debba avere profondità non solo da un punto di vista significante ma anche nella sua fisicità: il quadro a volte pare un bassorilievo, va verso la scultura, il colore viene intriso di gesso.

È sempre durante la permanenza a Salisburgo che Perazzolli si apre ad un percorso volto all’astrazione, ad una ricerca sempre più intima e lirica. Nella città infatti conosce Emilio Vedova e viene colpito dalla forza espressiva dell’arte informale e gestuale del maestro veneto.

Tornato a Cles Perazzolli rivolge ormai completamente il proprio sguardo all’astrattismo. I suoi primi esperimenti sono l’elaborazione in chiave personale delle rappresentazioni delle farfalle e delle loro ali: il senso di leggerezza ed eleganza si fondono con la sensazione di precarietà ed effimero. Il colore dominante diviene il bianco, utilizzato come fondo dal quale emergono particolari dai colori spesso tenui, quasi delle ombre. La materia è sempre pastosa e spessa, mentre la superficie viene incisa con rapidi colpi di bulino: l’arte di questo periodo, nonostante sia ancora parzialmente legata alla figurazione, è estremamente gestuale e violenta; le opere vengono create da Perazzolli con rapidità, quasi in un rito liberatorio. 

Il 1969 è l’anno dell’uomo sulla Luna; l’epopea nello spazio, l’apertura verso l’ignoto, l’uomo che pare andare verso un’altra dimensione, rappresentano nuovi spunti per l’artista che apre ad un breve ciclo di opere intitolate “Da Icaro alla Luna”.

Tra il 1970 ed il 1975 Perazzolli prosegue nella sperimentazione espressiva e nella ricerca di nuove tematiche, mettendo sempre in primo piano la traduzione di propri stati d’animo, in una ricerca sempre più intimista. E’ questo il periodo nel quale alterna lavori sfocianti nell’informale a vedute figurative di città. Del primo caso fanno parte opere come “Il vuoto” (1974) e “Il cratere si è spento, tutto tace” (1972), quest’ultimo uno dei capolavori dell’artista. In questa serie il colore scompare quasi del tutto. I quadri sono pressoché monocromi, caratterizzati da colate di spruzzi neri forse ispirati dal buio lasciato dalla scomparsa del padre. Nella serie delle città, opere come “Proiezione di un caseggiato” (1972) e “Visione corografica di notte” (1974), mantengono parzialmente un legame con il reale, con il paesaggio delle città in assordante crescita, fatto di condomini e case accatastate che opprimono l’umano e divengono barriera per i rapporti interpersonali e sociali. Perazzolli sembra qui trasformare in immagini e percezioni oggettive gli spunti offerti dalla lettura dei testi di Moravia. I profili di città sono segni rapidi, incisi all’interno della materia spessa e oscura; piccole finestre colorate sono pretesti per dare tono all’insieme e creare punti focali.

Nella seconda metà degli anni Settanta e fino agli ultimi lavori, mentre si succedono rilevanti mostre personali e collettive in Italia e all’estero, Perazzolli decide di guardare solo dentro se stesso. Abbandona il tema delle città concentrando la rappresentazione del proprio intimo tramite espressioni sempre misuratamente in bilico tra astratto e informale, dove la personale lettura dell’esistenza si traduce in forme geometriche lacerate e come sospese all’interno di universi surreali, fondati sui contrasti tra bianco e nero, tra bene e male, tra razionale ed irrazionale, tra lucidità e disperazione. Le tele divengono rappresentazioni cosmiche e quasi sacrali del proprio microcosmo, come si può osservare in “Meriggio” (1980) e “Spazio vivace” (1982). Cerchi di colore bianco, come pianeti lontani immersi in uno spazio buio e profondo, sono tagliati da linee e da frammenti, a volte colorati di ocra rossa o di blu scuro, sovente macchie e colature che paiono ferite del proprio animo (“Traccia n°1”, 1979). In questo periodo Perazzolli frequenta spesso il poeta e critico d’arte Luigi Serravalli, con incontri amichevoli nelle abitazioni rispettivamente di Cles e di Rovereto. Mantiene inoltre continui contatti con altri artisti, in particolare con Mario Melis, Othmar Winkler, Luigi Senesi, Mariano Fracalossi, Livio Conta ed Eraldo Fozzer. I rapporti con quest’ultimo, scultore di fama, spingono Perazzolli a sperimentare anche l’arte plastica, creando alcune piccole sculture e bassorilievi.

Agli inizi degli anni Ottanta, nell’acme del proprio percorso, l’arte di Perazzolli risente dell’incontro con Umberto Mastroianni e della frequentazione del grande maestro negli spazi di casa Dusini e della Galleria d’Arte Fedrizzi a Cles. Mastroianni, non avvezzo ai complimenti, appoggia l’opera di Perazzolli e ne evidenzia la rilevanza all’interno del contesto artistico contemporaneo trentino.

Nel 1981, grazie all’appoggio del grande critico d’arte veneto Giuseppe Marchiori – già fondatore nel Dopoguerra della “Nuova Secessione Artistica Italiana”, in seguito “Fronte Nuovo delle Arti” – Perazzolli tiene un’importante personale alla galleria “L’approdo” di Torino: la mostra segna l’apice della carriera dell’artista.

Poco dopo la malattia interrompe quasi all’improvviso la produzione e la creatività di Perazzolli. Le ultime opere, come ad esempio “Angolo acuto” (1982), “Groviglio” (1983) e i numerosi acquerelli della prima metà degli anni Ottanta, rappresentano la fine di un percorso tramite un singolare e ultimo riavvicinamento al colore.

Marco Perazzolli muore a Cles nel 1988.